Analizzando gli annunci della campagna elettorale di Trump e la politica attuata nel suo mandato precedente per il Made in Italy negli Stati Uniti potrebbero aprirsi delle prospettive interessanti in un mercato dove il giro d’affari potrebbe aumentare fino a 8 miliardi di dollari grazie alle politiche economiche espansive di Trump e nonostante le possibili politiche tariffarie che il presidente potrebbe mettere in pista.
Un potenziale che può essere sfruttato dalle aziende italiane a condizione di conoscerne bene le caratteristiche e le regole.
Ecco un vademecum fatto da chi opera con aziende italiane negli Stati Uniti da oltre un decennio per sfruttare le opportunità del nuovo corso statunitense.
Milano, 7 novembre 2024 – La vittoria di Donald Trump e la sua politica “America First” ci permette di prevedere l’impatto nei rapporti di business internazionali, che vede coinvolte molte imprese italiane che operano con gli Stati Uniti. Gli USA rappresentano infatti il mercato più importante per le aziende del Made in Italy: il 24% delle vendite per un valore di 72,9 miliardi di dollari nel 2023, cresciuto del 5,4% rispetto al 2022; numeri che rendono l’Italia l’11° paese fornitore, con una quota di mercato del 2,3%. Un risultato determinato dalla percezione altamente positiva del valore del Made in Italy nell’ambito alimentare, della cosmetica, dell’abbigliamento, del lusso in senso trasversale, dell’arredamento e della tecnologia in particolare collegata a questi settori.
Secondo Mauro Bandelli, Partner e founder di Gen USA, società di consulenza che supporta le aziende italiane a essere competitive e presenti nel mercato statunitense, Donald Trump per prima cosa incentiverà gli investimenti esteri negli Stati Uniti. In secondo luogo è da prevedere un rafforzamento delle politiche economiche già esistenti che salvaguardano il “made in USA”, con l’introduzione di obblighi per le aziende della PA a rifornirsi da fornitori locali (con la presenza americana nell’azionariato) e sgravi fiscali per il private che si rifornisce da aziende locali. Questi due macro aspetti fanno sì che per le aziende italiane sarà più utile e conveniente produrre o assemblare prodotti direttamente sul territorio USA, il che comporta la necessità di costruire una struttura solida dal punto di vista della supply chain e da quello finanziario.
“Anche gli annunciati dazi per i prodotti esteri per le merci di alta qualità esportate dall’Italia non avranno un grande impatto in quanto i consumatori statunitensi di questi beni sono poco sensibili ai prezzi e a possibili aumenti. Le nostre analisi stimano un giro d’affari potenziale di 8 miliardi di dollari l’anno. nel corso del mandato di Trump. – afferma Bandelli – Un mercato ampio (335 milioni di abitanti), con un PIL pro-capite medio/alto, un sistema politico stabile, un contesto economico dinamico e fortemente orientato al business, ma al tempo stesso un mercato complesso e molto esigente che si deve approcciare in maniera completamente differente rispetto a quello italiano. Per conquistarlo ci sono anche facilitazioni offerte dal sistema americano: credito di imposta, finanziamenti agevolati, supporto nella ricerca del sito produttivo, nella ricerca di personale e nella supply chain. Aiuti disponibili solo se si conoscono e si rispettano regole precise e si dimostra di investire sul territorio.”
La rielezione di Donald Trump potrà quindi portare vantaggi significativi per alcune aziende italiane; tuttavia, le politiche protezionistiche e le possibili tensioni commerciali rappresentano rischi che potrebbero influenzare negativamente, e solamente le aziende capaci di navigare con attenzione queste dinamiche sapranno massimizzare i benefici e mitigare i rischi associati.
Il primo aspetto da considerare se un’azienda vuole avere successo negli Stati Uniti è l’apertura di una filiale: “Costituire un soggetto giuridico, con sede negli Usa che abbia una ampia autonomia decisionale, indipendente dalla casa madre è un passo indispensabile per poter avere continuità nei flussi di vendita e governare il mercato. – prosegue Bandelli – Dipendere completamente dalla distribuzione USA significa avere un fattore di incertezza troppo rischioso sulla necessaria conoscenza del mercato e non poter governare i differenti fattori di competitività. Per avere successo nel mercato statunitense non è sufficiente avere buoni prodotti anche se originali come i nostri, è basilare poter controllare in tempio reale i servizi e la gestione della distribuzione, facendo scelte differenziate per i diversi Stati.”
“Non basta avere il miglior Parmigiano Reggiano o prosciutto di Parma perché il mercato statunitense ti apra le porte, vuole la qualità italiana, ma con le caratteristiche specifiche dal packaging ai tempi di approvvigionamento e i servizi che decidono loro e loro significa differenze sostanziali tra i vari canali di vendita. Il time-to-market è veloce, variabile e soddisfarlo determina il successo o l’insuccesso di qualsiasi prodotto. La disponibilità dei prodotti sul territorio e la rapidità di consegna nei quantitativi desiderati è un fattore critico di successo o di insuccesso Ecco perché il governo del processo dev’essere locale, dove locale sottintende una distanza di quasi 5.000 km tra New York City e San Francisco.”
Un capitolo a sé è rappresentato dalla vasta gamma di regolamentazioni federali, statali e locali, alcuni requisiti normativi sono particolarmente rigidi proprio in alcuni settore chiave del Made in Italy come l’alimentare: FDA (Food and Drug Administration) e USDA (United States Department of Agriculture) hanno giurisdizione su diversi aspetti della produzione e della distribuzione alimentare, con particolare attenzione alla sicurezza alimentare, i cui standard sono molto elevati e soggetti a frequenti ispezioni; in alcuni casi specifici alcuni cibi freschi non si possono importare negli USA: i prodotti a base di carne devono essere certificati dal USDA e provenire da impianti certificati, I formaggi italiani a base di latte crudo (non pastorizzato) che non sono stati stagionati per almeno 60 giorni non possono essere importati negli Stati Uniti. Frutta, verdura e altre piante fresche sono soggetti a controlli fitosanitari.
Conclude Bandelli: “Si tratta di un mercato eterogeneo, impegnativo e complesso, lo sviluppo commerciale richiede tempi lunghi e investimenti consistenti, per questo motivo l’approccio deve essere scientifico, strutturato e metodologico, con una strategia di medio-lungo termine (3-5 anni) ben chiara che preveda tempi, costi, attività e responsabilità molto ben definite e condivise dai vertici aziendali.”
Grazie alla sua ultradecennale esperienza diretta e approfondita Gen USA ha costruito un vademecum per aprire una filiale negli Stai Uniti che si basa sulla conoscenza delle difficoltà e permette di cogliere tutte le opportunità evitando errori e investimenti sbagliati. I punti essenziali sono:
1. Elaborare un piano di fattibilità che preveda:
a. un’analisi del mercato per avere una visione oggettiva del contesto competitivo in termini di potenziale, normative giuridiche e tecniche, concorrenti, filiera commerciale, best practice, aspettative dei clienti finali;
b. un piano di go-to-market per definire le strategie di penetrazione del mercato in funzione del contesto competitivo, delle risorse economiche e umane a disposizione e delle aspettative vs il mercato USA;
c. un business plan delineato in un arco temporale di tre anni in cui si cerca di delineare i possibili ricavi, investimenti, costi, cash flow;
d. un action plan in cui si indicato tutte le attività da fare nei prossimi tre anni, indicando tempi, costi e responsabilità.
2. Definire la sede della società, se la filiale è anche produttiva la scelta della sede è molto importante e in criteri di scelta dovrebbero essere principalmente:
a. la disponibilità di personale;
b. la rete logistica;
c. la prossimità vs clienti/fornitori;
d. altri criteri minori possono essere: la fiscalità locale, la presenza di incentivi ad investitori stranieri.
3. Costituire un soggetto giuridico, con sede, ragione sociale (unica per ogni stato), ragione giuridica, statuto della società, e indicazioni sul board of directors e gli officers (solitamente President, Treasurer, Secretary, cariche che possono essere detenute da un’unica persona, non necessariamente residente negli USA).
4. Aprire un conto corrente in una banca USA in modo da poter incassare/emettere assegni e operare in valuta americana.
5. Individuare un magazzino, possibilmente 3pl, dove stoccare i prodotti su territorio americano.
6. Assumere in loco personale di vendita o assistenza tecnica; in questo caso è necessario:
a. definire la tipologia contrattuale di collaborazione (dipendente diretto oppure “a contratto”);
b. se dipendente diretto
i. elaborare un contratto, solitamente “at will”
ii. definire salario lordo, variabile incentivi, benefit.
7. Impostare tutta la contrattualistica con clienti e fornitori secondo le normative statunitensi.