27 Marzo 2012
Ipertensione: bravi medici, ma poco “pazienti”

In Italia i medici ipertesi sono restii ad assumere il ruolo di paziente e a mettere in atto ciò che chiedono invece ai propri assistiti. E’ quanto emerge da una ricerca realizzata dall’Università La Sapienza di Roma sui comportamenti attuati dai medici di medicina generale nel momento in cui si accorgono di essere ipertesi.La ricerca si è articolata in due step, il primo quantitativo (3mila medici di medicina generale), il secondo qualitativo (sei focus group). I risultati evidenziano che il 17,7% dei medici è iperteso. I medici di sesso maschile sono il doppio (20,3%) rispetto alle donne (11,2%). Il 7,4% di queste vive nelle regioni del nord-ovest, mentre la maggioranza dei medici uomini vive nel sud e isole (25,47%) dove si riscontra anche la più alta percentuali di ipertesi (32,34%).Le donne medico sono più attente al trattamento della malattia e conducono uno stile di vita più sano rispetto agli uomini.Non sempre il medico che si ammala può essere definito un buon paziente. In massima sintesi questo è ciò che risulta dalla ricerca che l’Università La Sapienza ha realizzato per esplorare gli atteggiamenti e i comportamenti messi in atto dai medici rispetto alla terapia farmacologica dell’ipertensione arteriosa nel momento in cui diventano loro stessi dei pazienti. L’obiettivo è comprendere quanto il fatto di essere pazienti possa incidere sul loro comportamento prescrittivo, sulla loro disponibilità a modificare lo stile di vita e quanto il loro atteggiamento si discosti da quello dei loro pazienti.L’indagine si è svolta in due step, di tipo quantitativo (interviste telefoniche) e qualitativo (focus group), su un campione di 3mila medici distribuiti per genere e area geografica secondo l’usuale classificazione Nielsen (nord-ovest, nord-est, centro e sud-isole). Tra tutti gli intervistati, il 17,7% ha dichiarato di essere affetto da ipertensione arteriosa. La malattia è più diffusa al sud e isole (32,34%), dove gli uomini rappresentano il 25,47% e nella fascia di età al di sopra dei 56 anni (79%).La ricerca ha coinvolto 2.231 medici uomini (74% circa) e 769 medici donne (25% circa). Si nota una preponderanza del sesso maschile (20,3%) rispetto a quello femminile (11,2%). Le più colpite sono le donne medico nel nord-ovest (7,4%). L’89% dei medici ipertesi ha in atto una terapia farmacologica e il trattamento è più diffuso nelle regioni del centro e sud Italia. Dall’indagine emerge anche un elevato ricorso all’automedicazione, con un esiguo 30% che consulta il cardiologo. Le donne sono più attente, dal momento che ricorrono allo specialista nel 40% dei casi.Come i loro pazienti, anche la maggioranza dei medici ha scoperto di essere ipertesa in circostanze casuali e spesso in modo inatteso. Un dato interessante è la constatazione che molti medici, pur consapevoli dei fattori di rischio (es. il fumo) e della familiarità che li caratterizza, non hanno verificato la presenza della malattia.In modo analogo ai loro pazienti, i medici ammettono di aver avuto difficoltà ad accettare l’idea stessa di malattia. Anche nei confronti degli esami clinici e strumentali molti medici ammettono una certa negligenza verso se stessi, mentre sono tutti molto attenti nei confronti dei loro pazienti.Per quanto riguarda il monitoraggio della pressione nei mesi successivi la diagnosi e, soprattutto, il cambiamento di stili di vita, solo una minoranza dei medici ipertesi afferma di misurare la pressione regolarmente e di aver corretto alcuni dei fattori di rischio (ad es. il fumo o l’alcool), ammettendo spesso che questo è dovuto a una situazione clinica diversa dall’ipertensione (es. un infarto).Nel quadro delineato dall’indagine emerge sicuramente una buona conoscenza dell’ipertensione da parte del medico di medicina generale che si traduce in una valida prassi clinica nella gestione dei propri pazienti ipertesi, in perfetta aderenza alle linee guida suggerite dalle Società Scientifiche di Ipertensione e di Cardiologia (ESH/ESC). Purtroppo si deve però prendere anche atto che raramente la padronanza della materia risulta essere sufficiente a mutare lo stile di vita del medico quando è lui stesso ad essere iperteso. Inoltre, solo una parte dei medici oggetto dell’indagine ritiene che l’essere ipertesi incida sul rapporto con il paziente che soffre della medesima patologia, convinzione che rischia di compromettere la relazione che tale condivisione potrebbe offrire: il fatto di condividere con il paziente la medesima esperienza di malattia può infatti incrementare l’empatia nei confronti dell’assistito e delle sue difficoltà, offrendo così al medico anche la possibilità di rassicurare e contenere le preoccupazioni del paziente. Il professor Angelo Pennella, docente della Scuola di specializzazione in Psicologia della salute della facoltà di medicina e psicologia dell’università La Sapienza di Roma, afferma che “Un radicato convincimento a mantenere sotto controllo la propria ipertensione consisterebbe anche in un approccio più efficace verso il paziente iperteso. L’influenza che le esperienze personali possono avere nei confronti della relazione medico-paziente rappresenta un aspetto da presidiare maggiormente nella formazione del medico, in particolare quando è chiamato a promuovere un cambiamento nello stile di vita del paziente per poter ridurre il rischio cardiovascolare che caratterizza queste situazioni cliniche. In ultima analisi, le conoscenze scientifiche e la competenza professionale per gestire l’ipertensione sono emerse chiaramente nel corso di questa indagine così come è chiaro che i farmaci antiipertensivi oggi a disposizione del medico sono sicuramente efficaci per mantenere la pressione entro i valori di riferimento auspicati. A questo punto, la questione principale riguarda la formazione del medico che dovrebbe aprirsi a variabili psicologiche e comunicazionali che attualmente sono ritenute estranee e ostacolanti per la relazione con il paziente. In realtà si stanno sempre più connotando come fattori determinanti per la qualità e l’efficacia del rapporto medico-paziente nel momento in cui il medico è chiamato a promuovere nel paziente non solo l’aderenza al trattamento, ma anche l’assunzione di un corretto stile di vita e di una maggiore propensione a monitorare le proprie condizioni di salute”. L’indagine sui medici ipertesi – condotta con l’Università Sapienza di Roma – è stata promossa da thenewway ?? agenzia di comunicazione specializzata nell’area salute (www.thenewway.it). I risultati della ricerca fanno emergere il ruolo fondamentale del medico di medicina generale nella lotta all’ipertensione e sono stati messi a disposizione dell’incontro con la stampa organizzato da Takeda al fine di promuovere attenzione nei confronti delle criticità che ancora sussistono nella gestione della malattia ipertensiva.